Il naturale corso della vita ci porta inevitabilmente, prima o poi, a scontrarci con situazioni indesiderate o difficili. A volte possono essere cambiamenti radicali, come la perdita di una persona cara, la fine di una relazione importante, la diagnosi di una malattia inaspettata; in altre circostanze potremmo trovarci di fronte a eventi di minore entità, ma in entrambi i casi potremmo incontrare forti difficoltà nel processo di accettazione e adattamento ai nuovi cambiamenti. Riaprirsi alla vita, ritrovare forza e motivazioni in grado di aiutarci a superare un particolare evento, sono decisioni molto spesso ardue e di difficile attuazione.
Quando ci troviamo dinanzi a un cambiamento non desiderato, infatti, possiamo sperimentare sensazioni intense come rabbia, ansia e tristezza. Nonostante siano indubbiamente emozioni vissute negativamente, la psicologia ci aiuta a comprendere quanto le stesse possano essere, paradossalmente, addirittura utili e funzionali. L’ansia, un’emozione dettata dalla realizzazione di trovarsi di fronte all’impossibilità di poter controllare completamente particolari eventi della propria vita, potrebbe costruttivamente aiutarci a muovere passi più sicuri e cauti dinanzi a una situazione nuova; la rabbia, che se mal incanalata potrebbe condurci all’adozione di condotte disfunzionali e distruttive, se ben indirizzata potrebbe essere in grado di accompagnarci in percorsi creativi e produttivi; la tristezza, infine, che se mal gestita può portare alla chiusura in noi stessi, potrebbe positivamente favorire la riscoperta di nuove potenzialità, aiutandoci nello slancio verso la scelta di nuove e stimolanti direzioni.
Negli ultimi anni, lo sviluppo della terza generazione delle terapie cognitivo-comportamentali ha condotto allo sviluppo di nuovi protocolli, che pongono proprio l’accettazione al centro del percorso terapeutico. Tra questi sicuramente spicca l’ACT, acronimo di Acceptance and Commitment Therapy, una forma di psicoterapia cognitivo-comportamentale che fonda le sue radici sul concetto secondo il quale, la sofferenza di tipo psicologico, non è tanto generata dagli avvenimenti di vita avversi quanto dalla nostra, innata, poca disponibilità nell’accettarli e accoglierli. L’ACT ci incoraggia ad abbracciare metaforicamente le nostre esperienze mentali, anche quelle poco piacevoli come emozioni e pensieri dolorosi. La sofferenza diviene quindi “normale” compagna di viaggio di ogni individuo che, impegnando la sua vita e basandola su ciò che è per egli stesso importante e di valore, può divenire attivo partecipe del proprio cambiamento psicologico e del proprio benessere, promuovendo e alimentando le sue abilità di contatto con il momento presente (acceptance) e impegno (commitment) e investendo energie in direzione di una vita ricca e significativa.
In collaborazione con Alessandro Bellardi Falconi