
“Il Covid non esiste!”, “È stato creato dalle case farmaceutiche!”, “Vogliono controllarci!”, “Io sono il medico di me stesso!”, “È colpa di Bill Gates!”
Queste alcune delle espressioni che, in tempi di pandemia come quelli che stiamo vivendo, leggiamo e sentiamo sempre più spesso in giro, in TV, tra i nostri conoscenti e sui social network. In un periodo storico in cui le notizie corrono veloci, e altrettanto velocemente vengono ricondivise senza un vero approfondimento critico e di conferma, sempre più spazio ha trovato la figura del cosiddetto complottista da tastiera.
Premettendo come alla base del complottismo propriamente detto vi sia soprattutto mancanza di competenza degli argomenti trattati, potremmo individuare delle dinamiche psicologiche che tentino di spiegarne le cause e le ragioni scatenanti.
Come già accennato, chi appoggia e diffonde teorie cospiratorie, nella maggioranza dei casi le trova già “preconfezionate” da siti di dubbia attendibilità, che imbastiscono ad arte notizie prive di fondamento, spesso evidenziate da titoli clickbait con lo scopo principale di favorire l’atterraggio sulla loro pagina web. Chi le ricondivide non si preoccupa di verificarne la veridicità, per il semplice fatto che si ritiene già soddisfatto dalla possibilità di poter catturare l’attenzione dei suoi conoscenti e di guadagnarsi un proprio piccolo ruolo da protagonista all’interno del suo gruppo sociale. Emergendo dalla sua dimensione di anonimato, il complotto fornisce al suo divulgatore lo status di informatore, che si prodiga nel mettere al corrente gli sfortunati disinformati che si lascerebbero altrimenti manipolare da chissà quali organismi corrotti. Riesce in questo modo a gettare quelle fondamenta in grado di sorreggere la sua autostima e la sua illusoria capacità di ragionamento.
Da un punto di vista strettamente psicologico potremmo inoltre affermare come, alle spalle della logica del complottista, sia presente una dinamica di carattere prettamente persecutorio. Pur trattandosi il più delle volte di un individuo ben integrato all’interno del proprio contesto sociale, lascia trasparire modalità di ragionamento che fanno sì che un’idea, una volta radicata nella sua mente, non venga modificata neppure dinanzi a una logica schiacciante di fatti che la smentiscono. Spesso poi, facendo affidamento alla classica profezia che si auto-avvera, il soggetto va all’esclusiva ricerca delle notizie in grado di dare conferma alle sue opinioni.
Nondimeno, molto spesso il complotto può essere considerato come un vero e proprio meccanismo di difesa. La prima cosa da fare quando ci si trova dinanzi a qualcosa di spaventoso o sconosciuto, è infatti quella di provare a dargli un nome, identificandolo in un’entità da combattere o, a volte, negandone addirittura l’esistenza.
Un esempio potrebbe essere proprio la questione coronavirus, che ha lasciato ampi margini di sfogo a una moltitudine di complottisti, sempre più impegnati alla ricerca delle origini di questa pandemia. Le affermazioni spesso contraddittorie e incoerenti che ogni giorno ormai ci troviamo ad ascoltare dalle più svariate fonti di informazione, forniscono ai complottisti la sensazione di avere qualcosa contro cui schierarsi, ottenendo in tal modo il controllo di una situazione della quale, tirando le somme, sono spaventati.
Tutto questo ci fa comprendere come il complottismo sia un modo di essere disfunzionale e in grado di assumere connotazioni anche pericolose per una comunità di persone, soprattutto nelle sue fasce meno istruite, che rischia a sua volta di essere spinta ad adottare comportamenti simili e potenzialmente dannosi: un esempio tra tutti, l’attuale esplosione delle campagne No Vax.
Non condividere notizie cospirazionistiche è un dovere verso la nostra società, così come studiare, approfondire, cercare un’informazione razionale e dimostrabile sul mondo che ci circonda è un diritto e un obbligo per noi tutti.
In collaborazione con Alessandro Bellardi Falconi