Tik Tok e disturbi alimentari: l’influenza dei social sulla visione di se stessi

Tik Tok è una delle app più scaricate e popolari al mondo e che vanta circa 800 milioni di utenti, la metà dei quali appartenenti a una fascia di età compresa tra i 16 e i 24 anni. 

Propone la creazione e il caricamento di brevi clip di durata variabile tra i 15 e i 180 secondi e consente all’utenza di aggiungere canzoni, balletti da imitare, suoni e voci da doppiare. L’applicazione fa uso poi dell’intelligenza artificiale per analizzare le preferenze e gli interessi rilevati, per poi personalizzare singolarmente i contenuti e proporli nuovamente ai fruitori.

Un meccanismo, basato su algoritmi, che non differisce molto da quelli utilizzati da altri famosi social network, ma che ultimamente è finito nel mirino di attacchi mediatici per l’insufficienza mostrata nel filtrare adeguatamente tematiche e messaggi inappropriati e maladattivi. È questo il caso, come emerso da una recente indagine del The Guardian, di contenuti che promuovevano anoressia, bulimia e altri rischiosi comportamenti alimentari e che potevano fino a qualche tempo fa facilmente essere reperiti sulla piattaforma. Tik Tok è subito corsa ai ripari, oscurando e bloccando prontamente alcuni hashtag che pubblicizzavano tali disturbi e incoraggiavano l’adozione di comportamenti a rischio.

Tuttavia è emerso come, utilizzando piccoli errori di ortografia, tuttora permanga la possibilità di aggirare tali restrizioni e ingannare il sistema. Gli utenti, principalmente adolescenti e finiti nella trappola di tali disordini, si ritrovano poi il feed totalmente intasato da contenuti similari, dal momento che, come già accennato, l’algoritmo dell’app è programmato per riproporre ciò che l’AI “crede” che potrebbe interessarli.

Una situazione più che preoccupante, considerando che solo in Italia gli squilibri nel rapportarsi al cibo colpiscono il 5% della popolazione e che l’anoressia è responsabile, dopo gli incidenti stradali, della maggior parte delle morti nella fascia di età compresa tra i 12 e i 18 anni.

La situazione pandemica che stiamo attraversando non ha fatto che peggiorare tale tendenza, che ha visto, secondo il Ministero della Salute, un aumento del 30% nel primo semestre del 2020 rispetto all’anno precedente.

Ma è tutta colpa dei social? In realtà i media non fanno che riflettere un ambiente socio- culturale in cui l’immagine del corpo e la perfezione estetica rappresentano valori e ideali tanto desiderabili quanto dannosi, soprattutto per soggetti particolarmente vulnerabili. Essere bombardati da immagini di fisici statuari e scultorei non fa che rafforzare l’idea che il proprio corpo sia inadatto e vergognoso, perpetuando il disturbo nelle persone a rischio di disordini alimentari e incoraggiando la comparsa sui social di comunità virtuali che spingono all’adozione di regole malsane, volte al raggiungimento di pericolosi obiettivi di peso.

Cosa fare, dunque, per uscire da questa spirale? Molte piattaforme si sono già attivate, promuovendo nuovi sistemi che forniscono supporto e risorse a quegli utenti che digitano parole potenzialmente rischiose, affiancando a numeri di telefono e a contatti di associazioni che si occupano del tema, anche consigli su come affrontare tali disturbi e aiutare chi ne soffre. Una serie di iniziative e accorgimenti che sicuramente potrebbero dare un contributo, ma che poco otterranno senza una più profonda ristrutturazione sociale, che miri a contrastare e scardinare quei meccanismi tossici legati all’immagine di sé sui social network e che promuova una visione del vero sé senza filtri, senza ritocchi, favorendo l’adozione di un percorso di accettazione e serena convivenza con le proprie imperfezioni.

Perché la vita vera, al di qua dello schermo blu di uno smartphone, perfetta non lo sarà mai.

In collaborazione con Alessandro Bellardi Falconi.

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