La morte non piace a nessuno e tutti, in un modo o nell’altro, la temono. Il distacco, la sofferenza e la mancanza, termini dolorosi ai quali la fine di una vita in genere viene associata, è assolutamente normale che possano innescare pensieri e sensazioni ansiose e spiacevoli. Ma quando l’idea della morte finisce per travolgere la vita quotidiana, limitandone od ostacolandone il normale svolgimento, ecco allora che possiamo parlare di tanatofobia o, più semplicemente, di fobia della morte.
Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V) opera una distinzione delle fobie, classificandole in tre gruppi: specifiche, sociali e agorafobia. La tanatofobia è una fobia specifica e i soggetti che ne soffrono possono sperimentare disagi mentali e sintomi fisici quali stati depressivi, sensazione di soffocamento, dolore al petto e tremori che, se particolarmente frequenti e intensi, possono sfociare in veri e propri attacchi di panico.
Ma da cosa scaturisce la paura della morte? Alla sua base potrebbero verosimilmente trovarsi esperienze traumatiche vissute in passato: l’aver sperimentato da vicino l’addio di una persona cara, il soffrire o l’aver sofferto di una patologia importante, aver assistito in prima persona a un incidente mortale, aver portato avanti un parto particolarmente difficile potrebbero essere degli esempi di innesco di una condizione che, se non adeguatamente affrontata, rischierebbero di divenire in parte “invalidanti” per la regolare vita sociale e familiare o sfociare in forme ipocondriache, ossessive o in altri disturbi somatoformi.
Ma è possibile superare la paura, spesso e volentieri tanto eccessiva e incontrollabile quanto inverosimile, di andare incontro alla morte? La verità è che non tutti i sintomi fisici e psicologici sono facilmente risolvibili da soli e, in molti casi, trovare il coraggio di richiedere un aiuto professionale può essere una valida soluzione. La terapia cognitivo-comportamentale, in particolare, può rappresentare un efficace supporto per affrontare al meglio i sintomi ansiosi e, con l’ausilio delle terapie di terza generazione, tra cui la terapia ACT e la Mindfulness, si può intraprendere un percorso di auto consapevolezza incentrato meno sul futuro e su ciò che potrebbe accadere e maggiormente sul presente e sul “qui e ora”.
Riducendo i comportamenti di evitamento, esponendosi sia in modo simulato che dal vivo, riconoscendo gli schemi di comportamento bloccanti (circoli bloccati) e facendo maggior spazio alla percezione delle emozioni negative, sarà possibile affrontare il disagio emotivo collegato all’evento della morte che, ci consentirà di guardarla con maggior distacco e riuscire a vivere in modo pieno, godendo dei piccoli doni che la vita ci offre.
In collaborazione con Alessandro Bellardi Falconi