L’effetto spettatore, quando l’uomo pubblica on line e non interviene..

Alika Ogorchukwu, un uomo nigeriano di 39 anni, è stato brutalmente, qualche settimana fa, aggredito a Civitanova Marche, in pieno centro. È morto, dopo essere stato ripetutamente colpito con violenza con la stampella che lo accompagnava da quando era stato vittima di un incidente, nel febbraio dello scorso anno. È stato ucciso dai colpi inferti da un uomo, fermato dalle forze dell’ordine poco dopo, ma anche dall’inerzia indifferente dei tanti presenti, che hanno assistito alla scena riprendendola con lo smartphone, senza intervenire. Perché nessuno ha fatto nulla? Perché nessuno ha fermato quell’uomo, mentre infieriva su un disabile disarmato?

La stessa domanda, probabilmente, si posero nel lontano 1968 i due psicologi statunitensi John Darley e Bibb Latané, dopo essersi interessati a un similare episodio di cronaca avvenuto a New York la notte del 13 marzo del 1964, a seguito del quale Kitty Genovese, una ragazza appena ventinovenne, venne aggredita e uccisa sulla strada di ritorno verso casa. Winston Moseley, questo il nome dell’assassino, dopo la prima non letale aggressione si allontanò dalla vittima, spaventato dalle grida dei vicini, che dalle loro abitazioni gli gridarono qualcosa. Poco dopo, tuttavia, tornò a cercare la giovane, la trovò ancora viva e agonizzante e la uccise. Fu un fatto di cronaca che suscitò un grande clamore nell’opinione pubblica, per l’efferatezza del gesto ma anche, e soprattutto, per l’inquietante scoperta del fatto che nessuna delle 38 persone che assistette all’omicidio si preoccupò di intervenire o di prestare soccorso.

Fu allora che Darley e Latané introdussero per la prima volta il concetto di bystander effect, tradotto in italiano come “effetto spettatore”, anche detto “apatia dello spettatore” o “effetto testimone”. I due psicologi arrivarono alla conclusione che maggiore era il numero delle persone che assistevano a un’emergenza, più alta risultava essere la probabilità che ognuno dei presenti evitasse di intervenire o lo facesse con meno prontezza. Le ragioni alla base di tale comportamento vennero spiegate dai due ricercatori, a seguito di numerosi esperimenti, con la compresenza di numerose variabili.

La prima, e forse principale, riguardava la diffusione di responsabilità: nel momento in cui il testimone era l’unico presente ad assistere alla scena, avvertiva in misura maggiore il peso della responsabilità. Al contrario, se le persone presenti erano più di una, la responsabilità si diluiva, diffondendosi tra i compartecipanti e soffocando nella sensazione di non dover intervenire perché altri lo avrebbero fatto, traducendosi in una minore possibilità di effettiva azione da parte di tutti.

I due autori evidenziarono inoltre come potesse entrare in gioco anche un altro elemento, la cosiddetta “ignoranza pluralistica”, concetto che identificava la situazione nella quale ognuno dei soggetti presenti si considerava meno preparato e adatto degli altri ad affrontare la situazione. Ciò aumentava le probabilità che nessuno facesse nulla, rimanendo inerme di fronte alla condizione di allarme in corso.

Un’altra componente che poteva presentarsi era quella relativa alla paura del giudizio e della valutazione altrui: chi assisteva all’evento era preoccupato di poter mal interpretare la circostanza che si ritrovava a dover fronteggiare, temendo di reagire in maniera spropositata a una situazione che non si era sicuri fosse di vera e propria emergenza. Il conflitto interno che si sperimentava si risolveva dunque con un’azione inibita o del tutto assente.

Cosa fare, dunque, per difenderci, o per lo meno contrastare, il fenomeno dell’effetto spettatore? Che sia un problema reale e attestato non deve in alcun modo costituire una scusante per chi dovesse sperimentarne gli effetti. Comprenderne i motivi sottesi potrebbe, però, aiutare a prevenirne gli influssi ed evitare che possano nuovamente ripetersi in futuro situazioni tragiche come quella cui abbiamo di recente assistito e che molto spesso e negli scenari più disparati – dai fenomeni di bullismo nelle scuole, agli episodi di mobbing o di molestie sui luoghi di lavoro, fino ad arrivare alle situazioni di violenza estrema per le strade – continuano, purtroppo, a verificarsi.

In collaborazione con Alessandro Bellardi Falconi

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