Acceptance and Commitment Therapy: come vivere la vita imparando ad accogliere la sofferenza.

L’ACT, acronimo di Acceptance and Commitment Therapy, letteralmente tradotto in “Terapia di accettazione e impegno all’azione”, è una forma di psicoterapia, fondata e sviluppata da Steven Heyes e collaboratori, che mira ad aiutare il paziente nella modificazione del comportamento, allo scopo di incrementare la propria flessibilità psicologica e le personali capacità di raggiungere obiettivi e valori significativi.

Inserita nel quadro più ampio delle cosiddette terapie di “terza onda” o “terza generazione”, L’ACT si configura come una pratica ben distinta dalle precedenti terapie comportamentali e cognitivo-comportamentali dalle quali prende spunto e sui cui getta le proprie fondamenta. A differenza di tutte le altre psicoterapie, infatti, lo scopo principale dell’ACT non è infatti quello di ridurre i sintomi che provocano un eventuale disagio, quanto piuttosto cimentarsi nel tentativo di modificare la relazione che si instaura con le emozioni negative e i pensieri disfunzionali che creano quella stessa sofferenza. La riduzione della sintomatologia che ne consegue diviene in tal modo solo un piacevole “effetto collaterale” della trasmutazione della propria prospettiva.

Alla base dell’ACT troviamo l’assunto secondo cui la sofferenza psichica, insita e radicata nell’esperienza umana, sia generata dal linguaggio. Secondo la Relational Frame Theory, un’ampia teoria del linguaggio alla quale l’Acceptance and Commitment Therapy fa riferimento, le attività cognitive dell’essere umano sono, per loro stessa natura, qualitativamente linguistiche: il parlare, lo scrivere, il prestare attenzione e l’ascoltare, ma anche il solo immaginare, pensare o sognare, costituiscono il presupposto di un fluire senza fine di immagini, pensieri, giudizi, valutazioni e anticipazioni che hanno luogo sotto forma di dialogo interno che le persone instaurano continuamente con loro stesse. Quando tale dialogo diviene eccessivamente rigido o assume una connotazione negativa, ecco che si presentano varie problematiche di natura psicologica. In altre parole, quando le persone, influenzate inconsapevolmente da tale condizionamento, si fondono cognitivamente con la loro narrazione interna, divenendo un tutt’uno con le immagini alle quali esse stesse danno vita, permettono a quei pensieri di dominare e influenzare la loro esistenza.

Per disinnescare questo meccanismo vizioso e disfunzionale, l’ACT promuove l’adozione di un metodo noto come “defusione cognitiva”, un processo che pone il paziente nella condizione di poter osservare dall’esterno la propria narrazione interna, in modo tale da adottare una prospettiva più ampia e distaccata, e per questo anche più oggettiva, attraverso cui approcciarsi alla situazione che sta sperimentando sulla propria pelle. Immaginare parole e pensieri come se venissero proiettati su uno schermo posto dinanzi a sé, cantilenarli a mo’ di filastrocca, ripetere o pronunciare ad alta voce frasi o parole temute o disturbanti, sono solo alcune delle numerosissime tecniche che, con l’aiuto e la guida di uno psicoterapeuta esperto, vengono utilizzate per raggiungere un distacco, e dunque una “defusione”, da immagini e pensieri che, tuttavia, non vengono mai messi in discussione o respinti, ma semplicemente accettati.

Da qui l’altro principio cardine dell’ACT, che è proprio l’accettazione dell’esperienza, positiva o negativa che sia, unicamente accolta in maniera non giudicante o controllante. Spesso, infatti, più assiduamente si cerca di reprimere o evitare un pensiero legato a un’emozione negativa, tanto più lo stesso si ripresenterà in forma ancor più minacciosa e invadente. Osservando le sensazioni nel qui e ora e lasciando che fluiscano liberamente secondo il loro corso naturale le emozioni, anche quelle più negative e dolorose, appariranno come meno minacciose e temute, riducendo l’impatto e l’influenza sulla nostra esperienza quotidiana.

Di fondamentale importanza, infine, il concetto di “azione impegnata”, un termine utilizzato per riferirsi a quel particolare tipo di azione mossa, dopo l’accoglienza e la presa di contatto con le proprie fragilità e debolezze, dal desiderio di guidare le proprie azioni partendo dai propri valori individuali, affinché venga perseguita la conduzione di una vita che, pur non priva di dolore e sofferenza, possa essere considerata come significativa e soddisfacente.

In collaborazione con Alessandro Bellardi Falconi

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